Un po' di storia Dai tempi di Aristotele ad oggi, tra testimonianze e studi
Quante volte, nelle lunghe ore di italiano e letteratura, capita di imbattersi nella sinestesia: una figura retorica che consiste nell’accostamento di termini che riguardano due sfere sensoriali diverse. Nulla di strano o particolare, sino a che si tratta di una mera divagazione, di una strategia poetica per accattivarsi i lettori; i poeti bramano la multisensorialità nelle loro opere. E non solo i poeti: gli artisti in genere hanno sovente auspicato all’evocazione di stati sensoriali differenti nel loro pubblico, cercando di strappare quante più reazioni emotive possibili. C’è però un altro aspetto della parola sinestesia, un volto che riguarda non più una semplice divagazione letteraria, ma un fenomeno fisico, possibile: una percezione multisensoriale, una caratteristica del cervello che consente - alle persone che la posseggono - di esperire uno stimolo in diversi sensi. E’ come se la figura retorica, da oggetto astratto relegato alla bidimensionalità di un foglio stampato, divenisse “reale”, di cui si può far conoscenza diretta col proprio corpo, con i propri sensi. Sulla propria pelle. Le documentazioni più antiche di questa percezione particolare, di questa mescolanza di sensi, risalgono probabilmente a Pitagora, nel VI secolo a.C., con la “musica delle sfere”, e ad Aristotele nel IV secolo a.C. con il “De Anima”, in cui egli cita un parallelismo rispettivamente tra ciò che è acuto o grave all’udito con ciò che è aguzzo o ottuso al tatto. Ancora Aristotele si fa portavoce di correlazioni particolari idiosincratiche della sinestesia: è ne “Il Senso” che scrive circa una possibile corrispondenza tra gusti e colori. Dopo un “gap” plurisecolare notevole, tracce di scritti sul fenomeno compaiono nel XVI secolo con Arcimboldo, per giungere finalmente agli scritti di Locke del 1690. Secondo una testimonianza di quest’ultimo, uno studioso cieco di sesso maschile cercava di comprendere il significato dei colori. Dopo vari ragionamenti, un giorno egli dichiarò di aver capito che cos’è il rosso porpora: lo definì come il suono di una tromba. Si potrebbe pensare a questa come ad una sorta di “similitudine”, o come una semplice idea, soggettivamente sorta in un uomo senza il dono della vista, desideroso di poter conoscere l’essenza dei colori. Ma questa associazione tra il suono e il colore riconduce immediatamente alle associazioni proprie della percezione sinestesica.