Anche Isaac Newton, eclettico nei suoi studi, non poteva tralasciare diverse sperimentazioni vicine alle associazioni sinestesiche, alcune delle poche di quel genere e in quei tempi; egli creò una corrispondenza tra i colori dello spettro e le note musicali, avvalendosi del prisma e scomponendo la luce nei sette colori fondamentali, che assegnò a ciascuna nota. Nel suo trattato del 1704, “Optics”, si possono leggere i suoi studi e le sue prove pratiche a riguardo.
Nel 1742 sarà invece Bertrand Castel, monaco gesuita, matematico e fisico, ad avvicinarsi a sperimentazioni che consistevano nell’associazione di luci colorate ai suoni, prodotti simultaneamente grazie al cosiddetto “clavecin oculaire”. Il fenomeno della sinestesia è, quindi, già ampiamente noto da circa quattro secoli, ma non ha mai goduto di una reale considerazione da parte della medicina, sebbene questa ne fosse a conoscenza (infatti risale al 1710 una trascrizione medica di un caso di sinestesia, probabilmente considerata una patologia o una sorta di malattia).
Il motivo della mancanza di studi scientifici consistenti sin dal XVIII secolo risiede nella prematurità della neurologia e della psicologia come vere e proprie scienze accreditate. Si dovranno quindi attendere i loro sviluppi, per poi arrivare alla metà del XIX secolo, perché la sinestesia ottenga finalmente un elevato interesse. Ed è grazie ai primi studi di sir Francis Galton nel 1880, con “Visualised Numerals”, e a libri come “Audition Colorée” di Mendoza (1890), che il fenomeno sinestetico comincia ad essere un vero e proprio oggetto di ricerca e di esami.
E’ sempre datata 1890 anche l’organizzazione di un comitato di sette psicologi tra i più importanti, al Congresso della Psicologia Fisiologica, con la proposta di standardizzare la terminologia sul tema della sinestesia, per poter avanzare spiegazioni scientifiche di un fenomeno le cui testimonianze documentate erano in continua crescita. Tra i membri: Flournoy (che con Claparède compilò dati sulle vocali colorate) e Gruber.