Il primo impatto che la parola sinestesia suscita è la sensazione che si abbia a che fare con la ben nota figura retorica, tanto utilizzata in ambito letterario.
Questo è ciò che la maggior parte delle persone con cui ho parlato di sinestesia hanno pensato, almeno in un primo momento, senza beneficiare di una mia spiegazione più approfondita; le prime reazioni, quindi, sono state solitamente delle espressioni facciali che tutto lasciavano intendere, tranne che avessero pienamente capito di che cosa parlassi.
La sinestesia, nel campo della retorica, consiste nell’accostamento di termini che appartengono a due sfere sensoriali differenti, ad esempio “suono nero”, “profumo luminoso”, “gusto appuntito” e così via.
Questa strategia poetica è utilizzata dagli scrittori per aumentare la resa emotiva e sensoriale nelle opere letterarie; una multisensorialità, quindi, che ha un preciso scopo, quello di accattivare il lettore suggerendo molteplici dimensioni di una singola stimolazione sensoriale.
Sebbene a scuola vi sia stato insegnato, durante le ore di lezione di letteratura, che questi accostamenti costituiscano solo una figura retorica (la sinestesia appunto) perché non è possibile che un suono sia nero, un profumo luminoso, e un gusto appuntito, la realtà coglie di sorpresa coloro che si sono sempre attenuti a questa spiegazione. Infatti, non solo non è corretto dire che non è possibile che un suono sia nero, ma vi sono anche persone che vedono i suoni come colorati, unitamente a delle forme astratte (chiamati fotismi), ogni volta che percepiscono uno stimolo uditivo, o che sono in grado di gustare i fonemi (parole) ogni volta che vengono pronunciate. E per queste persone, tali sensazioni forti di colore, gusto e altre risposte sensoriali (chiamati concorrenti), associate ad uno stimolo (detto induttore), costituiscono la normalità della vita quotidiana, tanto quanto è normale dire che un limone ha un gusto aspro.
Che cosa è successo a coloro che sono in grado di esperire tali percezioni?
Soffrono forse di una strana malattia? Oppure sono semplicemente delle menti fantasiose? O, peggio, mentono su ciò che dicono? Nessuna delle domande sopra citate può ottenere una risposta affermativa che possa spiegare ciò che in realtà è un fenomeno, di nome sinestesia. Si, è nominato esattamente come la figura retorica di cui si è parlato sopra, e non è certo una coincidenza. Vi sono delle persone che sono in grado di percepire uno stimolo in due o più modalità sensoriali, mentre normalmente esso è esperito solo nella modalità appropriata (suoni tramite l’udito, scrittura tramite la vista, gusto tramite gli organi deputati alla ricezione del sapore, e così via).
Non si tratta di una novità, sebbene la scienza abbia degnato la sinestesia di un considerevole interesse solo negli ultimi decenni, quando lo sviluppo tecnologico ha permesso di verificare la tangibilità cerebrale del fenomeno sinestesico.
Molti uomini di scienza, sin dall’antichità, hanno non solo trattato filosoficamente circa connessioni sensoriali sinestetiche, ma hanno anche tentato di riprodurre il risultato derivante dai meccanismi delle percezioni di questo tipo, cross-modali.
Non a caso la parola sinestesia deriva dal greco sin-aisthánestai, che significa “percepire assieme”; quindi già in tempi molto lontani era ben noto il meccanismo delle associazioni sinestetiche. Tuttavia, i secoli sino qui trascorsi hanno visto la sinestesia attraversare varie vicissitudini: da mera filosofia estetica di associazione armonica tra suoni e colori a sperimentazione pratica di musica visiva (impresa in cui si cimentò anche Newton), da resoconti che la annoveravano nella lista delle malattie nel XVIII secolo a studi più approfonditi su di essa, degni di essere accreditati (grazie a Galton, dal 1880).
Il fenomeno sinestetico ha dovuto sopportare anche l’esclusione da parte del mondo scientifico, con l’avvento del Comportamentismo in psicologia; le testimonianze dei soggetti che possedevano la sinestesia non bastavano per poter studiare seriamente quest’ultima, in quanto ciò che le persone sostenevano non poteva essere passibile di verifica.
Saranno le invenzioni tecnologiche di sofisticati macchinari utilizzati in medicina, in grado di registrare l’attività cerebrale di soggetti durante le percezioni sinestetiche, ad innalzare nuovamente il livello di interesse da parte di varie branche della scienza; ed è così che oggi la sinestesia è ufficialmente considerata un fenomeno reale, a tutti gli effetti.
Nonostante la “convalida” scientifica sia giunta a partire dagli ultimi decenni del Novecento, durante tutto il secolo scorso (e, comunque, già con gli studi di Galton) l’argomento della sinestesia è stato contemplato, studiato, quasi “rivoltato come un calzino”, alla ricerca di valide spiegazioni, che hanno condotto i ricercatori a dover fare i conti con la complessità del fenomeno. Oggi non tutte le risposte sono state date in merito al perché, al come e al dove questo fenomeno prenda forma in un individuo; nonostante gli studi abbiano coperto svariati aspetti di essa, la sinestesia è ancora in corso di analisi, date le sue mille sfaccettature e implicazioni fisiche e psicologiche.
Comunque, la base scientifica per poter esplorare nuove conseguenze e connessioni di essa con la vita quotidiana è ormai stata gettata; non resta che seguire i progressi che la ricerca scientifica ci regalerà.
[Tratto da: "Suoni colorati. La sinestesia come strumento di comunicazione", L. Donetti, 2008 tutti i diritti riservati]